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  • Immagine del redattoreFrancesca Corrado

DOMANDE E RISPOSTE

Quale approccio adottare per trasformare gli errori in opportunità?





La scienza sostiene che, senza un approccio metodico, sapere che «sbagliando si impara» non ci è di molta utilità, per cui rifaremo gli stessi errori e continueremo a vivere le stesse frustranti situazioni.

Una ricerca del 2008 svolta presso l’Università di Harvard ha messo in evidenza come un imprenditore che avvia per la prima volta un’attività abbia il 18% di probabilità di successo; se invece proviene da un’altra iniziativa in cui ha già fallito ne ha il 20%; se in precedenza ha avuto successo ha il 30% di probabilità a suo favore. Chi ha fallito, quindi, non ha probabilità più alte di avere successo, a meno che non impari ad analizzare gli errori commessi e, dal precedente insuccesso, non tragga spunti utili per modificare il proprio modo di pensare, di agire e di fare business.


Ma quale metodo adottare per apprendere dai propri errori?


I bias cognitivi possono complicare la nostra capacità di apprendere dall’errore e sono essi stessi fonte di errori sistematici. Inoltre le nostre emozioni in alcuni casi influiscono negativamente sulle scelte che prendiamo. Se è importante sviluppare una mentalità antifragile, un mindset dinamico, è quindi altrettanto essenziale lavorare sul metodo. Occorre analizzare gli errori e imparare da quelli altrui.

Il metodo Domande e Risposte può essere un buon strumento con cui iniziare a sviluppare una sana cultura dell’errore. Il metodo si compone di 5 step:


1. Osare inciampare in un problema difficile

2. Porsi le giuste domande

3. Cercare una risposta

4. Accogliere gli errori

5. Imparare dai fallimenti.



1. Osare inciampare in un problema difficile

In uno studio del 2017, dal titolo «Are You Solving the Right Problems?», l’85% dei centosei intervistati ha affermato che la sua organizzazione non era in grado di diagnosticare i problemi, e l’87% ha sostenuto che questo difetto aveva costi economici significativi. Per questa ragione la figura più ricercata negli ultimi anni è quella del problem solver. Quando sorge un problema ci attiviamo però a «comprare» una soluzione. Niente di più sbagliato. Abbiamo invece bisogno di una cultura del «cercare». Porre domande e cercare i problemi si traduce in livelli più elevati di creatività rispetto alla semplice ricerca di soluzioni e di risposte. Esaminare un oggetto o una situazione da un punto di vista diverso rispetto a quello usuale può condurre a un risultato sorprendente. Questo approccio è di grande utilità per educatori, studenti e professionisti. Dobbiamo riflettere e sperimentare, prima ancora che le difficoltà si palesino; dobbiamo attivare un processo di ricerca dei problemi senza partire da ipotesi precostituite ma osservando i dettagli e ponendoci le giuste domande.



2. Porsi le giuste domande

Le idee dei piccoli hanno tutte un punto di domanda e ogni errore, per dissolversi, ha bisogno di un punto interrogativo. Tutti i figli tempestano di domande i loro genitori. Iniziano sempre con un «Perché?»

Da molti «Perché?» sono nati prodotti di largo consumo e soluzioni innovative.

Nel 1970 a un team della Procter & Gamble fu assegnato il compito di inventare una saponetta a strisce bianche e verdi. Il gruppo di lavoro impiegò sei mesi per produrre sei diverse saponette con quei colori, senza che quei campioni destassero alcun entusiasmo. Finché un consulente creativo pose questa domanda: «Perché mai vorremmo creare una saponetta a strisce verdi migliore?» La risposta fu: per fare concorrenza a Colgate. Un vicolo cieco.

Allora il consulente cambiò il quesito: «Perché le persone acquistano una saponetta bianca e verde?» La replica, che così le persone si sentono più rinfrescate, stavolta aprì molte possibilità e suggerì una nuova domanda: «Come possiamo creare una saponetta più rinfrescante?» Forte di quella prospettiva diversa e nuova, bastò una giornata di brainstorming affinché Procter & Gamble lanciasse saponette a strisce blu, di nome Coast, che ricordavano l’estate e il mare.

Saper porre le giuste domande è certamente più difficile che saper dare le risposte giuste. Ma il risultato sarà sorprendente.






3. Cercare una risposta

Spesso i nostri tentativi di trovare una soluzione a un problema approdano esattamente in ciò che stavamo cercando. Non è un buon risultato. A causa dei nostri bias e pregiudizi individuiamo la risposta prima ancora di farci le giuste domande. E se abbiamo già dato una etichetta al problema, essa ci condurrà a una e una sola specifica soluzione. Ma chi cerca risposte deve anche sforzarsi di trovare più soluzioni possibili al problema, e per giunta differenziate tra loro.


Se non riesci a immaginare almeno tre soluzioni alternative al tuo problema,

allora non hai un problema

Lant Pritchett


Un altro errore che commettiamo nel cercare una risposta è confondere quest’ultima con il desiderio che accada ciò che avevamo desiderato. Questo metodo, sostiene il fisico Richard P. Feynman, non è scientifico, perché implica un giudizio di valore su quale sia il responso da cercare e la soluzione da offrire. Prima di metterci in cerca di ciò che desideriamo trovare, dovremmo porci un diverso quesito, che stavolta sarà una domanda scientifica: «Se faccio questo, che cosa succede?». Scopriremo che non verremo condotti a una replica definitiva («Devi fare senz’altro questo»), e nemmeno a un ammonimento («Succederà qualcosa di sbagliato»), ma a una possibilità reale («Accadrà questa cosa»), che a sua volta potrebbe essere confutata da nuove informazioni e da nuove conoscenze. E a quel punto, nel caso accada quella cosa, gli interrogativi che dovremo farci saranno:

– Voglio o non voglio che succeda?

– È quello che mi aspettavo?

– Quali opportunità può nascondere un risultato non previsto né desiderato?

Le domande non finiscono mai!



4. Accogliere gli errori

Numerose ricerche mettono in evidenza l’avversione strutturale al rischio da parte degli individui ma anche delle organizzazioni. E sebbene la quasi totalità delle aziende si dichiarino orientate all’innovazione, quella che promuovono è spesso di tipo «cosmetico», più apparente che reale, perché non comporta rischi e cambiamenti radicali. A tutt’oggi, nel nostro Paese, le persone non si sentono affatto libere di fallire perché l’ammissione di un errore le esporrebbe a un giudizio negativo. Come creare un luogo orientato all’innovazione e alla creatività? Sviluppando una sana cultura del fallimento. Provate a rispondere:

– Quanto vi sentite liberi di sbagliare nella vostra organizzazione o nella vostra vita personale?

– Avete mai partecipato a riunioni di condivisione di «cattive pratiche»? Oppure quanto vi sentite liberi di condividere con gli altri i vostri fallimenti?

– Avreste una reazione positiva se qualcuno ammettesse di aver sbagliato? Se avete risposto in modo negativo a tutti e tre i quesiti, forse è il caso di cambiare la cultura organizzativa o familiare per sviluppare un ambiente arricchito da una sana cultura dell'errore.



5. Imparare dai fallimenti

L’errore, prima o poi, si insinua in ogni aspetto della quotidianità dell’esistenza e in ogni momento del nostro agire.

Qualsiasi progetto procede per ripensamenti, svolte casuali, deviazioni improvvise; ma è solo grazie all’intelligenza di chi sa imparare da queste cadute, che il mondo – errando – si evolve. Chiedetevi: Qual è stato il mio errore, oggi o questa settimana? Che cosa ho imparato?


Evitare errori è un ideale meschino: se non osiamo affrontare problemi che siano così difficili da rendere l’errore quasi inevitabile, non vi sarà allora sviluppo della conoscenza.

Karl Popper


Il metodo della scienza, afferma ancora Popper, si alimenta di congetture e confutazioni. Una persona lancia un’ipotesi e altri cercano di confutarla con il solo scopo di capire quanto lontano possa portare.

Se sostituiamo, la parola «confutazione» con «feedback» il risultato non cambia. L’una e l’altro sono l’ingrediente indispensabile affinché la scienza possa progredire e gli esseri umani migliorarsi.

Dobbiamo smettere di considerare dei falliti i compagni e i colleghi che commettono errori, ma, anzi, elevarli gli errori a buoni maestri e chiamarli a testimoni del nostro coraggio, della nostra perseveranza e delle nostre più alte aspirazioni. Nella vita personale e professionale tendiamo a ricercare il successo, eppure buona parte della crescita risiede nell’imparare dai propri errori. Apprendere nuovi strumenti, sviluppare strategie differenti per agire e decidere.

Sarebbe bello leggere un giorno sui dizionari una diversa definizione di «fallimento», come percorso alternativo per cogliere una nuova opportunità, perché ci insegna qualcosa su di noi e sul mondo, e ci mette nella condizione di affrontare con maggiore slancio e consapevolezza ogni nuova avventura.

Non deve mai essere vissuto come una umiliazione ed è meno doloroso quando riusciamo a trarne tutto il valore possibile e imparare qualcosa di cui ignoravamo l’esistenza. Solo grazie all’apprendimento i nostri errori avranno un valore maggiore del costo iniziale pagato in termini di delusione e sofferenza.

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