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  • Immagine del redattoreFrancesca Corrado

TU NON SEI IL TUO VOTO

Aggiornamento: 30 ott 2019


“Tu non sei il tuo voto” dovrebbe essere una frase appesa in ogni aula scolastica.


La scuola è pensata per premiare chi ha successo e punire chi non ne ha. Ed è a scuola che i bambini sperimentano che cosa significa essere puniti, bocciati, respinti. Imparano a soffrire per un voto negativo, a provare vergogna per una cattiva prestazione, a temere l’errore e l’insuccesso (bias del risultato). Errore significa percepire di non essere stati capaci di ottenere un risultato soddisfacente, di non essere portati verso una materia. E' per questo che fin da piccoli ci creiamo delle convinzioni limitanti circa le nostre attitudini e possibilità, che condizioneranno il nostro futuro. Eppure, chi prende un brutto voto può fare meglio.

Inoltre, serve davvero misurare la vita sulla base dei titoli conseguiti o dei voti presi? Nella scuola, gli studenti sono propensi a identificarsi con il voto che ricevono. Il voto troppo spesso funge da etichetta: «non abbastanza bravo», «non abbastanza intelligente», «pigro», «somaro».




“Tu non sei il tuo voto” dovrebbe essere una frase appesa in ogni aula.

Perché le esperienze negative hanno un impatto sul nostro modo di apprendere e di affrontare gli alti e bassi della vita.

La nostra mente tende a ricordare maggiormente le esperienze negative, e la «X» rossa sul quaderno rimarrà impressa nella memoria per sempre (effetto priming). Le conseguenze di una cattiva elaborazione dell’errore da parte di uno studente saranno due: in futuro sarà poco propenso a imparare dai propri sbagli perché avrà sempre un brutto ricordo legato a quella prima esperienza, e avrà una maggiore propensione a sviluppare il bias del carro musicale.

Con questo termine si indica la tendenza a seguire il comportamento della maggioranza o a uniformare il nostro pensiero a quello degli altri, in particolare alle persone rispetto alle quali si percepisce più affinità. Il conformismo decisionale ci porta a seguire il comportamento della maggioranza, o perché siamo convinti che questa abbia una informazione più completa rispetto alla nostra, o perché abbiamo paura del giudizio sociale e di venire giudicati negativamente se apportiamo un punto di vista discordante (le due motivazioni possono convivere).

Agiamo in base a ciò che gli altri si aspettano e facciamo scelte sbagliate che riguardano il nostro futuro. Eravate davvero convinti di preferire la scuola che avete frequentato? O di fare il lavoro che state facendo? Era il vostro sogno o quello di qualcun altro?


Gli errori non devono essere soppressi, ma vanno interpretati per raccogliere informazioni sulla persona che li ha commessi, sul modo che ha di apprendere e rapportarsi alla realtà e sullo stato della sua conoscenza. Bisogna anche evitare che la mente di uno studente elabori ulteriori distorsioni cognitive. Trovo efficace il pensiero di Neil Postman quando in Ecologia dei media (1979) afferma:


È sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della loro paura di sbagliare, profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede loro di essere nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell’errore: del suo come del proprio.


A sbagliare si impara attraverso le proprie esperienze, ma anche grazie all’aiuto di un buon maestro che come noi è un «errante»: insieme si affrontano i problemi esplorandoli, si formulano ipotesi e congetture, e se nel percorso qualcosa va storto si torna indietro o si cambia strada. Gli insegnanti potrebbero iniziare a premiare chi ha sbagliato in modo originale; insegnando agli studenti a sviluppare un pensiero critico, a valorizzare il percorso e non il solo risultato. Sviluppare nelle aule scolastiche una sana cultura dell’errore aiuta a riconoscere le sviste collocandoli nella giusta prospettiva, e a trovare strade possibili e alternative per esprimere al meglio se stessi.

Ricordiamoci sempre che noi non siamo ciò che siamo, ma siamo ciò che scegliamo di essere, al di là dei pregiudizi, degli stereotipi e dei brutti voti.


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